ll mercato del private capital è cambiato e cambierà nel prossimo triennio; quali sono le principali tendenze secondo il suo punto di vista?
Credo che i dati recentemente pubblicati da AIFI siano chiari indicatori di un mercato in salute. In particolare, il private equity nel primo semestre di quest’anno ha investito circa 4,5 miliardi di euro, in crescita del 142% rispetto agli 1,9 miliardi del primo semestre del 2020 e dell’81% rispetto al I semestre del 2019, anno pre-pandemia.
Ci sono due fattori principali che spiegano questa crescita.
Il primo: cresce la raccolta dei fondi di private equity italiani. Lo strumento del private equity sta guadagnando spazio nelle asset allocation dei fondi e delle casse di previdenza italiane, un fenomeno ormai ventennale in altri paesi europei, ma ancora agli inizi da noi. Inoltre, gli investitori esteri stanno tornando sul mercato italiano, grazie a un rinnovato clima di fiducia sul nostro paese. A questi effetti si aggiunge la raccolta retail che inizia a dare un contributo visibile.
Il secondo: l’imprenditore italiano conosce sempre meglio il private equity e ne capisce la funzione. All’inizio degli anni duemila l’ingresso nel capitale di un fondo era ancora visto con forte diffidenza dall’imprenditore italiano. Ora, con il crescere del numero delle operazioni di successo, è sempre più considerato uno strumento per accompagnare percorsi di extra-crescita e/o una modalità di gestione del passaggio generazionale.
È evidente che la crescita del mercato, in termini di raccolta e nuovi operatori, crea una crescente concorrenza sui prezzi di ingresso. La generazione dei ritorni sarà sempre meno legata ad arbitraggi sui multipli di ingresso e uscita; dipenderà, invece, dalla capacità del fondo di realizzare progetti industriali, trasformando l’azienda investita in un’azienda più grande, più competitiva, con management team forti, regole di governance e processi strutturati.
Questi mesi possono essere una grande opportunità per l’economia italiana e per le tante imprese che la compongono; quali le sue previsioni o aspettative?
Il 2021 è partito molto bene per quasi tutte le aziende del nostro portafoglio, alcune stanno registrando tassi di crescita molto importanti, anche rispetto al 2019, anno pre-pandemia. Sembra quasi paradossale, ma in alcuni casi il problema è quello di non riuscire a soddisfare completamente la domanda, per mancanza di capacità produttiva o per un accesso ritardato ad alcune materie prime e componenti. Non vediamo ad oggi segni di rallentamento, anzi i portafogli ordini stanno crescendo in modo costante, dando una buona visibilità anche per l’inizio del 2022.
Credo che il forte afflusso di risorse che interesserà la nostra economia nei prossimi anni (PNRR) è un’occasione da non perdere. La sfida sarà spendere bene queste risorse. In questo contesto la capacità di selezionare aziende meritevoli dimostrata dagli operatori di private capital è un asset da tenere in forte considerazione nell’allocazione di tali risorse.
Quale il ruolo dei fondi da lei gestiti? Cosa servirebbe per poter fare di più per l’economia reale?
I nostri fondi (Wisequity) si focalizzano sulla piccola e media impresa italiana. Nella nostra storia abbiamo effettuato 36 investimenti e completato più di 70 operazioni cosiddette add-on (aziende acquisite con le nostre partecipate e non direttamente dal fondo).
Il nostro ruolo è quello di aiutare aziende che abbiano già un buon posizionamento competitivo nella propria nicchia e una buona presenza internazionale, a strutturarsi con un management solido, una nuova governance, processi e risorse finanziarie per realizzare un percorso di intensa crescita.
Penso sia ben comprensibile il nostro ruolo nell’aiutare l’azienda a concepire, negoziare e perfezionare nuove acquisizioni per ottenere crescita per vie esterne, forse è meno evidente il contributo che può dare un fondo nella strutturazione dell’impresa in termini manageriali e di governance.
L’investitore istituzionale diventa un catalizzatore di management di qualità. Il manager professionista è spesso restio ad inserirsi in dinamiche aziendali con forte presenza famigliare, in particolare se i componenti della famiglia, oltre che essere proprietari, rivestono rilevanti posizioni manageriali. Il fondo, in particolare se acquisisce la maggioranza dell’azienda, diventa un elemento di garanzia per il manager.Il manager, inoltre, diventa anche imprenditore, investendo insieme al fondo con meccanismi premianti in caso di successo dell’investimento.
Chi come noi si occupa di investimenti in Pmi, spesso con forte matrice imprenditoriale, ha chiaro l’obiettivo di costruire un’organizzazione in cui ci sia una definizione chiara di ruoli e responsabilità con processi decisionali formalizzati, trasparenti e sistemi di deleghe strutturati. Sembra ovvio, ma le realtà aziendali di piccole e medie dimensioni spesso sono fortemente incentrate sulla figura dell’imprenditore, e non esistono reali meccanismi di delega. È evidente che questo processo è più nelle corde del manager professionista, abituato a concepire l’azienda come un’organizzazione in cui esistono deleghe che vanno rispettate.
Questo percorso di strutturazione di management, governance e processi, consente all’azienda di diventare sempre più appetibile nella raccolta di capitali, permettendo ulteriori investimenti e generando così un circolo virtuoso.