Il mercato del private capital è cambiato e cambierà nel prossimo triennio; quali sono le principali tendenze secondo il suo punto di vista?
Una delle principali tendenze è l’aumento del numero di operatori di private capital presenti sul mercato italiano. L’allargamento del parterre di investitori riguarda non solo la provenienza geografica ma anche le forme organizzative e di intervento.
Tale trend non si è fermato durante la pandemia, anzi proprio in quella fase ha iniziato la propria accelerazione: di fatto molti operatori ne hanno approfittato per fondare nuove iniziative o ampliare quelle esistenti. L’aumento del numero di partecipanti al mercato è nettamente visibile nelle ultime procedure d’asta, nelle quali a nomi più o meno classici si affiancano new entries e veri e propri outsider, però bene organizzati e molto committed fino alle fasi finali
Stanno nascendo anche nuovi fondi sul mercato italiano, con teams che peraltro hanno già dimostrato nelle prime fasi una buona capacità di fundraising.
Per quanto riguarda la geografia degli investitori, è interessante notare una presenza assai maggiore dei players tedeschi, finora attivi molto sporadicamente sul nostro mercato. Alcuni di essi hanno recentemente aperto i loro uffici in Italia, con l’idea di favorire anche un avvicinamento tra PMI italiane e Mittelstand tedesco. Sta aumentando anche il numero di investitori francofoni interessati al nostro mercato, sia dalla Francia che dal Belgio. Come tipologia di investitori registriamo un numero crescente di fornitori di capitale permanente e in generale di strutture più flessibili quali i club di investitori e family offices, senza che si possa dire, però, che una forma stia prevalendo sull’altra.
Questi mesi possono essere una grande opportunità per l’economia italiana e per le tante imprese che la compongono; quali le sue previsioni o aspettative?
Anzitutto vorrei sottolineare come in questi ultimi due anni e ancor di più negli ultimi mesi, il nostro Paese abbia dimostrato una impressionante capacità di attrarre capitali, provenienti sia dall’estero che dal mercato domestico. Lontani i tempi in cui il nostro rischio Paese veniva considerato a livelli critici, l’Italia riveste ora un ruolo centrale nella strategia dei fondi paneuropei, attratti anche dalla possibilità di uno scale up delle nostre aziende, tramite internazionalizzazione e acquisizioni. Si direbbe insomma che l’”equity story” delle nostre aziende abbia ottenuto una notevole promozione nel giudizio degli investitori. Inoltre, il cospicuo programma di investimenti previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza permette di sognare in grande in alcuni settori quali infrastrutture, IT, healthcare ed energie alternative e non è un caso che il focus di molti fondi si stia concentrando su questi comparti, con conseguente lievitazione dei multiplivalutativi.
La mia previsione è che il private capital svolgerà un ruolo importante nel favorire aggregazioni e incrementi di scala, e gli ultimi mesi confermano questa tendenza con una crescita esponenziale dei progetti di build up. Notevole sarà anche il contributo dei fondi infrastrutturali che si stanno muovendo con maggiore intensità rispetto al passato.
L’afflusso di capitali è ora potente sui settori innovativi che beneficeranno dei piani di digitalizzazione e di transizione ecologica e che perciò promettono robusti tassi di crescita.
Ma non andranno assolutamente persi di vista i settori tradizionali quali componentistica auto, chimica, packaging e oil & gas, che si trovano di fronte a scelte epocali e hanno una forte necessità di innovazione. Per i casi più difficili sarà fondamentale anche l’intervento di fondi di turnaround sia privati che pubblici, che iniettino equity in una pura logica di mercato.
Cosa possono fare gli operatori di M&A?
Gli operatori di M&A dovranno assistere fondi, imprenditori e aziende in un mercato molto più articolato, veloce e complesso rispetto a prima.
Ad esempio, sul sell side sarà fondamentale lavorare su short list ragionate e non abusare dei processi di asta, indicando ai clienti valutazioni realmente ottenibili e non formulate, come talvolta accade, solo ai fini dell’ottenimento dell’incarico.
Sul buy side l’advisor dovrà sempre più evidenziare i rischi della potenziale operazione e indicare la sostenibilità della valutazionenel medio e lungo termine, anche alla luce della sua finanziabilità. Nei processi di asta dovrà fornire un quadro corretto della situazione competitiva e delle reali possibilità di aggiudicazione.
In generale l’M&A advisor dovrà non solo assecondare ma anche favorire con uno sforzo proactive le operazioni di aggregazione e consolidamento, sia nazionali che internazionali.