Private equity
18 Maggio 2020

La Norvegia volta le spalle ai combustibili fossili

Il fondo sovrano vende Glencore, Anglo American e Rwe

Il Norges Bank Investment Management, il fondo sovrano norvegese, non vuole essere solo il più grande del mondo, con un trilione di dollari in gestione, ma si prepara anche a diventare il più etico. Per questo motivo ha annunciato dismissioni per 3,3 miliardi di dollari che andranno a colpire 12 aziende in portafoglio, operanti prevalentemente nei settori minerario ed energetico. Il taglio ha colpito Glencore, Anglo American (che però sta cercando di uscire dal settore del carbone), l’utility tedesca Rwe, la danese Agl Energy e il gruppo sudafricano Sasol. La decisione arriva dopo che l’anno scorso il parlamento norvegese ha inasprito le regole del veicolo sul carbone e i nuovi provvedimenti sono applicati oggi per la prima volta. Il bando ha colpito anche sette società ma per motivi etici: l’egiziana ElSewedy Electric per danni ambientali e le brasiliane Eletrobras e Vale. Quest'ultima è stata espulsa per le stragi e i danni ambientali provocati dal crollo di dighe nel 2015 e nel 2019. Eletrobras perché citata per presunte violazioni dei diritti umani degli indigeni durante la costruzione della centrale di Belo Monte. Le quattro compagnie petrolifere canadesi espulse sono attive nell'oil sands e hanno un livello definito inaccettabile di emissioni di CO2. Si tratta di Imperial Oil (controllata da ExxonMobil), Canadian Natural Resources, Cenovus Energy e Suncor Energy. I criteri etici sono stati aggiunti alle regole del fondo nel 2016 e sono utilizzati per la prima volta. Salvi gli investimenti in oil&gas, per ora. Eni, di cui i norvegesi possiedono l’1,5% tira un sospiro di sollievo. La banca centrale, che sovrintende al veicolo, ha anche annunciato di aver messo sotto osservazione quattro aziende tra cui Enel. Il fondo sovrano norvegese è uno dei maggiori azionisti della società italiana che pur essendo il primo produttore privato al mondo di energia rinnovabile, possiede ancora centrali a carbone, in gran parte in Italia. La società ha promesso il phase out totale del carbone ma ancora non l'ha completato. Il fondo norvegese, che ha una quota del 2,13% pari a 1,7 miliardi di dollari, in caso di mancato rispetto degli impegni, potrebbe anche decidere di dismettere la sua quota. La possibilità di espulsione dal fondo pende anche su: la tedesca Uniper, il gruppo minerario Bhp e la statunitense Vistra Energy. Per quanto riguarda Enel nel primo trimestre aveva ancora una capacità a carbone installata di 11,7 gigawatt (pari al 13,6% del totale, a fronte del 50,2% delle fonti pulite) ma il suo piano industriale prevede di scendere a 6,6 gw entro il 2022, condizione che dovrebbe soddisfare Oslo. Le dismissioni sono state concluse con qualche difficoltà per via delle condizioni spesso illiquide del mercato. Il fondo - istituito nel 1990 per investire gli utili del petrolio – ha oltre 9,200 società in portafoglio.

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