Studi e approfondimenti
30 Marzo 2020

Il punto di… Stefano Peroncini - ad EUREKA! Venture SGR

Il manager è nella Commissione Venture Capital di AIFI

Ed eccoci qua, nel bel mezzo di una pandemia globale. Siamo passati in poche settimane dal “è poco più di una banale influenza” al completo lock-down di intere nazioni, con buona pace di tutti i cittadini del globo e dei sistemi economico-produttivi che ci hanno guidato sino ad oggi. E cosa abbiamo scoperto: che i veri eroi del nostro tempo sono i medici e gli infermieri, in prima linea a combattere per tutti noi. Con loro, oltre a dedizione e passione neanche fossero degli startupper, c’è tanta Scienza e Ricerca Scientifica, da scrivere con le iniziali maiuscole e con il rispetto e la riverenza che i figli di una volta portavano ai genitori, dando loro del “voi”. Se mai qualcuno avesse avuto il pensiero che la serenità, il benessere e la prosperità non siano strettamente e indissolubilmente collegati a scienza, ricerca e innovazione, oggi può tranquillamente cambiare opinione.

La sfida del 21esimo secolo è rappresentata dall’innovazione e dal technology transfer, ossia la capacità di trasferire da un laboratorio di ricerca universitario al mercato un prodotto finito, un principio attivo, che lascia la sperimentazione di base per poter essere utilizzato da chiunque. Esempi clamorosi di quanto il trasferimento tecnologico abbia cambiato le nostre esistenze sono l’invenzione del mouse (nato all’EPFL, il Politecnico svizzero di Losanna e portato al successo da uno suo spin-off, una certa Logitech) e la scoperta del polipropilene isotattico, da cui è stata poi derivata la comune plastica che conosciamo tutti, da parte dell’italianissimo ingegnere chimico Giulio Natta (premio Nobel nel 1963, firmatario di oltre 4.000 brevetti). La plastica, un materiale leggerissimo, flessibile e termoresistente che tanto ha contribuito al boom economico del nostro Paese dagli anni ’60 in poi. Senza contare poi tutti i principi attivi e i farmaci scoperti nei centri di ricerca scientifica e nelle università.

Il technology transfer è un percorso lungo e tortuoso, che ha a che fare con i ricercatori, gli spin-off, la proprietà intellettuale, le pubblicazioni scientifiche e le valutazioni peer review, i contratti di licenze di brevetti e tanto, tanto altro ancora. E che soprattutto ha bisogno di investimenti, sia di know-how che di capitali “pazienti”, per far si che dall’intuizione di un gruppo di ricercatori possa poi nascere un prodotto, un farmaco o un vaccino di cui possa beneficiare la collettività intera. Ed ecco che nelle varie fasi un’idea, classificate con lo strumento del TRL – Technological Readiness Level (ossia la griglia di derivazione sviluppata dalla NASA per le sue missioni spaziali) diversi sono i soggetti a dover investire ed assumersi i rischi dell’insuccesso: l’università o il centro di ricerca, con fondi pubblici che co-finanziano le ricerche quando il TRL è 1 e 3-4; le corporate quando il TRL è più maturo, ossia intorno allo stadio 7-8-9, quando il rischio tecnologico è più basso, perché ormai per esempio si è superata la fase cosiddetta di proof-of-concept o di dimostrazione del prototipo. In mezzo ciò che viene chiamata – non a caso – death valley, ad indicare che per effetto della mancanza di finanza dedicata si ha un elevatissimo tasso di abbandono dell’attività innovativa, di ricerca e sviluppo sino a quel momento svolte. Per inciso, alla NASA il TRL 9 indicava “actual system flight proven through succesfull mission operations” e il TRL 1 “basic principles observed and reported”.

Fuori dagli addetti ai lavori, in pochi sanno quanto sia prezioso il sistema italiano dell’innovazione e della ricerca. Come ci ricorda l’amico giornalista Massimo Sideri nel suo bel libro “La Sindrome di Eustachio”, “l’innovazione è stata a lungo italiana e lo è ancora, ma schiacciati come siamo dalla propaganda della Silicon Valley che confonde consapevolmente innovazione con successo commerciale ce ne siamo dimenticati, o forse non l’abbiamo mai saputo”. Eppure la prima legislazione europeo sul brevetto è contenuta in un documento del senato veneziano datato 19 marzo 1474, che era volto proprio a difendere la paternità dell’opera dando al soggetto che la dimostrava il diritto di riprodurre l’invenzione in esclusiva.

Fortunatamente anche In Italia ci siamo di recente resi conto di quanto sia importante il nostro sistema del technology transfer, grazie anche alla piattaforma ITAtech promossa da Cassa Depositi e Prestiti e il Fondo Europeo per gli Investimenti. Le due istituzioni due anni fa hanno infatti deciso di unire le loro forze e grazie ad una dotazione complessiva di 200 milioni di Euro in pochissimo tempo hanno investito in 5 fondi di venture capital dedicati esclusivamente ad investire in iniziative di tech transfer che valorizzino la ricerca scientifica italiana. Sono nati anche i cosiddetti first time fund – first time team, tra cui anche quello di Eureka!, che ho l’onore di guidare come Amministratore Delegato della EUREKA! Venture SGR, prima società di venture capital in Italia esclusivamente focalizzata su investimenti in deeptech. Con me i partner Anna Amati, Massimo Gentili e Salvatore Majorana, con un bagaglio di competenze e track-record che spazia dal venture capital e dal tech transfer alla ricerca scientifica sino alla gestione di aziende industriali. Facciamo scouting di tecnologie e di idee brillanti collegate al mondo della scienza dei materiali e da portare sul mercato, in oltre 20 università e centri di ricerca in Italia; tra questi, anche l’Istituto Italiano di Tecnologia, uno dei più avanzati centri di ricerca del nostro paese. A chiusura di questo mio “punto”, mi è quindi facile proporre qui questo video, semplice ma istruttivo su cosa sia il TT.

Siamo innovatori, ma senza memoria. E’ urgente ritrovarla.

#iorestoacasa #andràtuttobene #staysafe

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