La raccolta di nuove risorse finanziarie è oggi un tema chiave: le imprese hanno bisogno da un lato di liquidità immediata e dall’altro di fonti a medio e lungo termine che permettano di costruire una solida base per riprendere l’attività e continuare a progettare il proprio futuro.
Il private capital – che riguardi debito o capitale di rischio – si configura oggi, almeno per le società di più modeste dimensioni, come lo strumento che può aiutare concretamente le aziende non quotate a rilanciare i propri progetti di crescita e di sviluppo del business, soprattutto in un momento come questo dove le prospettive future sono ancora incerte a causa della pandemia.
Proposte come i PIR Alternativi, novità contenuta nel Decreto Rilancio e confermata recentemente dalla legge di conversione, vanno nella giusta direzione per promuovere il private capital, essendo queste misure di carattere strutturale che mirano a sostenere l’economia e far affluire capitali ad aziende il cui accesso al mercato è mediamente più difficile. Si crea così un canale di nuove risorse per investimenti di lungo termine nell’economia reale.
Secondo i dati del nostro Team di Ricerca Equita, proprio dai PIR Alternativi potrebbe arrivare una raccolta tra i 2 e i 3 miliardi di euro nel 2020, fino a raggiungere 10-15 miliardi di masse gestite nei successivi cinque anni. Inoltre, qualora fossero introdotti ulteriori incentivi – come ad esempio una parte di detrazione fiscale sull’ammontare investito come nel caso dei Venture Capital Trust nel Regno Unito – tali stime potrebbero addirittura essere superate.
Un focus specifico lo merita il private debt, oggi asset class relativamente giovane in Italia rispetto al già consolidato private equity ma comunque già di rilievo per investitori – perché permette di raggiungere ritorni più interessanti rispetto all’investimento obbligazionario solito – e per imprese – che accedono così ad una forma di finanziamento alternativa rispetto al tradizionale canale bancario.
Equita è attiva ormai da anni in quest’ambito. La strategia del team è differente rispetto a quella di molti altri player in quanto focalizzata su aziende partecipate dal private equity, in particolar modo nella nicchia dei piccoli e medi buy-out. Il target infatti sono le imprese con un fatturato tra i 20 e i 150 milioni di euro. Il team non ha focus settoriali specifico ma si concentra piuttosto sul merito creditizio delle aziende target. Altro aspetto caratterizzante del prodotto Equita è che, operando in affiancamento a fondi di private equity, il team si affianca agli operatori di private equity in un’ottica di partnership finanziaria, integrando la struttura del capitale delle aziende con una forma di capitale intermedio, fattispecie pressoché assente nel mercato italiano, così come in altri mercati pur finanziariamente evoluti, come quello tedesco o spagnolo.
Queste specificità hanno dunque permesso al team di sviluppare competenze uniche nel tempo. Dal 2016, anno in cui abbiamo lanciato il primo fondo “Equita Private Debt Fund” – oggi interamente investito – siamo riusciti a distinguerci sul mercato crescendo anche in termini di professionisti e in questi mesi stiamo lavorando per chiudere la prima fase di raccolta del nostro secondo fondo, Equita Private Debt Fund II, che seguirà la filosofia e la politica d’investimento del suo predecessore. Il focus degli investimenti sarà infatti mantenuto su finanziamenti senior unitranche e subordinati a supporto di operazioni di private equity, con scadenze comprese tra 5 e 7 anni e ammortamento bullet. Anche i rendimenti attesi saranno in linea con quelli del primo fondo, che vanta un rendimento atteso lordo intorno al 9,5%. L’unica differenza sarà dunque sul target di raccolta complessiva, definito a 200 milioni di euro, ovvero il doppio rispetto al primo fondo: questo ci darà la possibilità di operare con maggiore flessibilità e minor rischio, consentendoci una migliore diversificazione del portafoglio d’investimenti.