Studi e approfondimenti
26 Ottobre 2020

Il punto di... Lucia Faccio Partner - Sofinnova Partners

La manager è membro dellla Commissione Venture Capital di AIFI

La ricerca biomedica è essenziale. Lo abbiamo riscoperto con lo scoppio della pandemia da coronavirus, che forse per la prima volta ha riportato l’attenzione di tutti sul tema della salute e, ancora di più, sull’importanza di investire in innovazione e conoscenza, vero patrimonio a servizio della società.

L’Italia rappresenta un’eccellenza nel campo della ricerca biomedica. Eppure continua a soffrire la mancanza di un tassello fondamentale che consentirebbe un vero salto di qualità. Mi riferisco al legame tra università, imprese e investitori, mondi molto spesso ancora troppo distanti. Oggi più che mai è infatti necessario investire sul trasferimento tecnologico, vale a dire quel processo che permette ad accademia, industrie e investitori di lavorare fianco a fianco per trovare e sviluppare nuove soluzioni terapeutiche in grado di diventare farmaci innovativi. Un processo che, ad oggi, risulta ostacolato da diversi fattori, che fanno scivolare il nostro Paese al ventesimo posto al mondo per numero di domande brevettuali presentate per milioni di abitanti (solo 71secondo una ricerca recente di The European House Ambrosetti). E questo a fronte del fatto che l’Italia è il quinto paese in Europa per capacità di attrarre fondi di R&S, ma ha un budget nazionale per il tech transfer quattro volte inferiore rispetto ai vicini paesi europei.

Un elemento importante per il trasferimento tecnologico è la presenza di investitori esperti del settore. Un caso emblematico è rappresentato da Sofinnova Partners, società di investimento leader in Europa nell’ambito delle Scienze per la vita, che già vent’anni fa aveva riconosciuto in Italia un terreno fertile per l’innovazione biomedicale. Negli ultimi cinque anni l’azienda, che gestisce un capitale di oltre due miliardi di euro in tutta la catena di valore delle Scienze della vita, ha promosso due progetti di grande rilievo: BiovelocITA, l’acceleratore che individua e trasforma in società biotecnologiche progetti con alto potenziale terapeutico, e il Fondo Sofinnova Telethon, il più grande fondo per il biotech italiano con una dotazione di 108 milioni di euro da destinare a progetti per la cura di malattie genetiche rare, nato in collaborazione con la Fondazione Telethon.

Ed è proprio la cooperazione tra i diversi attori il tema centrale. Per creare un ecosistema dell’innovazione, che possa davvero favorire la realizzazione di progetti rivoluzionari, è necessario un impegno congiunto. In questo senso sono molto positivi i segnali che arrivano da alcune iniziative recenti. Si pensi ad esempio al piano di Itatech, che ha creato cinque fondi seed a supporto del trasferimento tecnologico, oppure al Fondo Nazionale di Innovazione e al Fondo Technology Transfer di Enea Tech, che hanno inserito finalmente il tema nell’agenda del governo. Non solo, ma è appena stato annunciato che Milano – oltre a essere candidata per la nuova sede del Tribunale Unificato dei Brevetti – ospiterà BioEquity Europe 2022, l’evento principale per venture capital e start up nel settore Life Science da vent’anni. Un appuntamento, questo, fortemente voluto da Sofinnova e The European House Ambrosetti, che offrirà un’occasione preziosa per ampliare il network tra finanziatori e biotech emergenti.

Rimangono, tuttavia, importanti criticità, sulle quali sono al lavoro da tempo numerosi enti e associazioni. Per accelerare il processo di costruzione di un ecosistema solido occorre attuare alcuni cambiamenti a zero costo ma ad alto impatto. A partire dall’abolizione del professor’s priviledge, con l’attribuzione dei diritti sulla proprietà intellettuale all’ateneo o all’ente di ricerca, fino a una deroga del codice dei contratti pubblici, che consenta di condurre una selezione dei partner industriali o investitori basata sull’analisi delle strategie e capacità di sviluppo dei prodotti e non su una mera gara economica. Sono riforme necessarie, che dobbiamo attuare per rispondere non solo all’urgenza posta da questi tempi senza precedenti ma anche per porre le basi di vero ecosistema biotech italiano che possa svilupparsi su solidi pilastri di crescita: investimenti, management esperto e una collaborazione continua di tutta la comunità scientifica, accademica e industriale.

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