Ripartire. È questo il leitmotiv che risuona costantemente nelle discussioni di tutti gli italiani. Da pochi giorni siamo nella fase 3 dell’emergenza Covid-19, ma i tempi e l’intensità della ripresa che seguirà dipenderanno da fattori ancora difficili da prevedere, pur sapendo che i contraccolpi sull'economia reale saranno ingenti, con una flessione del PIL non inferiore al 9% nel 2020.
In questo contesto, in cui la pandemia da Covid-19 frena nel breve periodo i nuovi investimenti, le exit e, in misura ridotta, l’attività di raccolta, il mondo del private equity e delle altre strategie alternative è ben consapevole dell’importanza del proprio ruolo per accompagnare il rilancio delle imprese e affiancare gli sforzi messi in campo dal governo. Tramite gli operatori di private capital, inoltre, i patrimoni istituzionali hanno l’opportunità di convogliare maggiori risorse all’economia reale italiana per supportare la rinascita del Paese, ma anche per beneficiare di extra rendimenti oggi ancora più significativi.
In questo periodo, la priorità fondamentale per tutti gli operatori di private equity è stata quella di lavorare con le aziende in portafoglio – in una sorta di triage – per guidarle fuori dalla crisi diagnosticando gli impatti particolarmente rilevanti sulla gestione e trovando le soluzioni ottimali adatte a periodi di profonda discontinuità come quello attuale. In particolare, oltre ad assicurare la sicurezza di tutto il personale, l’obiettivo principale è stato quello di garantire il fabbisogno di liquidità delle aziende, analizzando in profondità la situazione dei flussi di cassa, ricorrendo alle migliori soluzioni disponibili e avviando iniziative di riduzione dei costi, senza minare il posizionamento competitivo dell’azienda.
Le attività di negoziazione di nuove operazioni di investimento si sono in parte interrotte, sia perché gli operatori di private equity sono concentrati sulla stabilizzazione del portafoglio, sia perché i venditori non sono propensi a cedere le proprie aziende in un momento di significativa riduzione dei ricavi e aumento dell’indebitamento. La combinazione di estrema volatilità e di incertezza porta infatti rapidamente a una discrepanza fra le aspettative dell’acquirente e quelle del venditore. Anche il numero delle exit nel breve periodo si riduce, allungando la durata media dell’holding period dei portafogli dei fondi di private equity. Gli operatori non vendono se il prezzo non è per loro adeguato.
La fiducia degli investitori istituzionali verso gli investimenti alternativi non è invece minata dal Covid-19. La minore decorrelazione rispetto alle asset class tradizionali, la maggior capacità di diversificazione e l’offerta di un extra rendimento continuano a spingere casse di previdenza, fondi pensione, fondazioni bancarie, compagnie di assicurazione e family office verso strumenti illiquidi che investono nell’economia reale con un obiettivo di medio lungo termine. Il calo della raccolta dei fondi dovrebbe essere limitata e di breve periodo, conseguente per lo più al raggiungimento dei limiti di concentrazione da parte di alcuni investitori verso il private capital, causato dalla riduzione del portafoglio complessivo per il calo delle valutazioni dei titoli quotati. Nel breve periodo, l’afflusso di nuovi capitali da parte degli investitori istituzionali potrà beneficiare di extra rendimenti rispetto al passato. Se guardiamo alla crisi del 2008, infatti, i rendimenti delle operazioni effettuate durante e dopo la recessione sono risultati molto più elevati, in contrasto con i rendimenti inferiori delle operazioni pre-crisi che scontano un calo delle valutazioni. Ne consegue che i fondi di private capital in fase di raccolta o che dispongono di elevati capitali da investire potranno ottenere le performance migliori. Ma ciò dipenderà dai settori e anche dalle singole aziende. Ad esempio, il settore della tecnologia è il meno colpito dal Covid-19 e, per alcune aziende, come quelle di servizi cloud, cybersecurity, infrastrutture di rete o SaaS, si prevede un picco nel tasso di crescita di breve periodo che verrà mantenuto anche nel lungo periodo.
Come HAT siamo profondamente convinti di questo e il nostro ultimo fondo di private equity che investe in tecnologia ed innovazione va proprio in questa direzione, coniugando la necessità di finanziare le PMI con la richiesta di investimenti in economia reale verso i settori più profittevoli per generare rendimenti superiori per gli investitori.
HAT è un operatore italiano attivo nella gestione di fondi di investimento alternativi specializzati con una dotazione di 400 milioni di euro. Negli anni HAT si è conquistata un posizionamento unico nel mercato italiano grazie alla forte specializzazione in innovazione e tecnologia, completando 31 operazioni di investimento, più di 40 operazioni di acquisizione di nuove società tramite le aziende in portafoglio (add-on), 21 exit e 2 quotazioni in Borsa.