Studi e approfondimenti
10 Maggio 2021

Il punto di...Fabrizio Baroni, Founder & Managing Partner B4 Investimenti

Questo periodo sarà ricordato per sempre per la pandemia che ha profondamente sconvolto le nostre vite

Non ritengo sia la sede né tantomeno di avere titolo per parlare della drammatica situazione sanitaria e sociale che è stata ed è sotto gli occhi di tutti noi, ma spero di poter dare qualche spunto di riflessione interessante soffermandomi brevemente sul fatto che, da un punto di vista economico-finanziario, stiamo vivendo un momento storico assolutamente unico, tanto complesso quanto potenzialmente portatore di incredibili opportunità da valorizzare. Un contesto nuovo, che richiede inevitabilmente, a mio avviso, anche per il mondo del private capital, una riflessione sul punto di vista, sull’approccio e sul modus operandi da adottare per giocare “in attacco” la sfida che ci aspetta.

Ho spesso riflettuto nei mesi scorsi sull’esperienza maturata nei (relativamente pochi) anni da quando, con un gruppo di amici e di corner investor, abbiamo fondato B4 Investimenti e su come alcuni elementi del modello nel tempo implementato (e ad oggi focalizzato essenzialmente sulle cd. “small cap”), adeguatamente rivisti e corretti, possano probabilmente essere una buona “ricetta” per provare a meglio affrontare il mutato contesto che ci troviamo davanti.

Alla base del DNA di B4 Investimenti c’è una visione forse un po’ “romantica” (o forse “basica”) del private equity… che richiama in qualche modo la famosa espressione di Steve Jobs “Stay Hungry. Stay Foolish.”.

Per me l’essenza del fare private equity – fin da quando seguivo all’università le lezioni della professoressa Anna Gervasoni – è INVESTIRE in CAPITALE DI RISCHIO su PROGETTI IMPRENDITORIALI per CREARE VALORE.

Arbitraggio sui multipli, leva finanziaria, operazioni secondarie, M&A, … sono strumenti utili, fattori abilitanti, importanti elementi di supporto, ma sempre e comunque accessori e complementari e come tali vanno considerati per non perdere di vista essenza ed obiettivi di fondo della nostra attività. E questo è, a mio parere, tanto più vero in un momento di significativo cambiamento come quello che stiamo vivendo.

Private Equity significa INVESTIRE, che è un concetto diverso dal mero “transare” quote, forse più prossimo a “seminare”, “porre le basi per costruire”. Investire significa focalizzarsi sull’azienda e non sulla transazione. E l’avere chiaro questo punto di vista, non sempre scontato, oggi più che mai può fare la differenza.

L’ultimo anno ci ha insegnato come il contesto esterno si possa evolvere in modo repentino, radicale e non prevedibile. La pandemia – ce lo auguriamo tutti – passerà (speriamo presto), ma il mondo che avremo davanti sarà diverso e diversi saranno anche gli occhi con cui noi ci siamo nel frattempo abituati ad osservarlo. Le visioni strategiche di lungo termine resteranno fondamentali nelle politiche di investimento, ma le analisi, le previsioni, le azioni tattiche di breve-medio termine – questa è un’importante “lesson learned” di questi mesi – dovranno essere riconsiderati nella loro effettiva valenza e funzione. Quale sarà davvero l’andamento del mercato nei prossimi 3/5 anni? Quali risorse saranno necessarie e/o disponibili nell’orizzonte di investimento e dove sarà più opportuno indirizzarle? Come si evolverà nel medio termine il contesto macro e micro economico e quali target saranno in futuro disponibili o interessanti da integrare per le nostre aziende? Domande cui sarà sempre più difficile dare una risposta circostanziata e immutata nel tempo: in questo contesto credo, quindi, che sarà sempre più difficile costruire dei business case basati principalmente su ipotesi di creazione di valore connesse ai trend attesi dei multipli di mercato M&A o al puro deleverage o ancora a strategie predefinite di buy-and-build, magari funzionali essenzialmente ad way out legate ad operazioni secondarie. Ciò che premierà sarà la capacità di lavorare sul business e di far leva sull’azienda e sulle sue potenzialità, agendo in modo pragmatico e flessibile ed adattandosi velocemente ai mutamenti del contesto, evolvendo con gli stessi e possibilmente cavalcandoli, invece di rischiare di esserne travolti nel tentativo di resistervi. Questo approccio, queste competenze, questi soft skill dovranno essere il mantra del private equity e rappresentare il principale valore aggiunto da portare in dote alle aziende ed agli imprenditori.

Gli investimenti di Private Equity sono investimenti in CAPITALE DI RISCHIO: è un concetto che può apparire anch’esso scontato, ma che nei fatti lo è meno di quanto dovrebbe.

Il rischio va calibrato, bilanciato, monitorato e gestito.. ma per farlo va innanzitutto (ri)conosciuto. Fare private equity significa assumersi un rischio imprenditoriale e assumerselo con cognizione di causa ma anche con la consapevolezza che il rischio esiste e, per quanto ben gestito, non può essere eliminato, così come non può essere eliminata l’equazione rischio-rendimento. Il punto fondamentale è quindi la decisione di dove allocare il rischio d’impresa: in un contesto complesso come quello attuale (che, come tale, rappresenta anche una potenziale straordinaria opportunità) ritengo che, più ancora che in passato, occorre prestare particolare attenzione a fattori di rischio incrementali connessi all’utilizzo di leve finanziarie significative e (causa-effetto) di approcci valutativi particolarmente aggressivi, limitandosi, per così dire, ad affrontare il già rilevante rischio insito nel business case e nel mercato. Il rischio – nella sua valenza positiva – deve essere quello derivante dal portare l’azienda ad investire in modo massivo (come spesso il supporto di un private equity permette di fare) su capex, intangible e management per crescere e creare valore.

In un momento come quello attuale, soprattutto nell’ambito del tessuto economico italiano (caratterizzato perlopiù da PMI), gli operatori di private capital dovrebbero porre al centro della loro strategia (esclusivamente) i PROGETTI IMPRENDITORIALI, focalizzando risorse, lavoro ed attenzione sulla selezione ed il supporto allo sviluppo degli stessi. Semplificando ma non troppo… è importante utilizzare la finanza per lo sviluppo delle aziende piuttosto che le aziende per lo sviluppo della finanza.

In questo contesto, il ruolo degli imprenditori è fondamentale: più le operazioni di investimento si baseranno su una vera partnership di sviluppo tra private equity ed imprenditori, più l’unione di questi due mondi non solo consentirà ad entrambi di meglio affrontare la complessità contingente, ma la trasformerà in una grande opportunità. Per contro, il modello, spesso in passato prevalente, di transizione / transazione tra private equity-compratori e imprenditori-venditori potrebbe non essere (più) strutturalmente adeguato a cogliere le sfide che abbiamo di fronte.

Infine, l’obiettivo di un’operazione di private equity non può e non deve essere solamente quello di realizzare un capital gain dall’investimento, bensì deve essere quello, più ampio e ambizioso, di CREARE VALORE (e quindi ritorni per tutti gli “stakeholder”: investitori, team, aziende, comunità).

Dentro questo concetto rientrano i principi ESG, il ruolo e la valenza del private equity nel sistema, la possibilità di costruire più efficacemente progetti strategici di successo e quindi, in ultima analisi, anche l’opportunità di realizzare strutturalmente ritorni importanti per i nostri investitori. Più noi private equity faremo nostro questo punto di vista, più ritengo che saremo in grado di avere un ruolo proattivo e potenzialmente rilevante nella gestione del cambiamento.

Tutto quanto sopra, se restasse scritto solamente su un foglio, risulterebbe, oltre che scontato, abbastanza inutile, ma – e di questo ne sono intimamente convinto – se venisse effettivamente posto al centro della filosofia di investimento e dell’approccio operativo di tutti i giorni, potrebbe rappresentare l’elemento differenziale per fare, di un contesto difficile come quello attuale, un’incredibile opportunità di creazione di valore per il Paese, di cui gli operatori di private capital potrebbe diventare degli straordinari fattori abilitanti, veri ed importanti protagonisti del cambiamento!

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Aut. Trib. Milano n.38 dell'8 febbraio 2016
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