Studi e approfondimenti
20 Aprile 2020

Il punto di... Claudio Giuliano - Ceo di Innogest SGR

il manager è anche nel comitato di presidenza della commissione venture capital di AIFI

Questa crisi mostrerà quanto velocemente possono cambiare le cose e come l'innovazione può aiutare l'industria a stare al passo. L'allineamento tra capitale di rischio, startup e industria è la nuova opportunità per l'Italia.

Al di là delle conseguenze immediate del blocco totale delle attività sociali ed economiche, che un po’ per volta e con non poca sofferenza ci lasceremo alle spalle, ci aspetta un periodo prolungato di incertezza e sfiducia. Preoccupa la dimensione globale della recessione che con ogni probabilità ci aspetta. La pandemia è una catastrofe globale ed estrema, senza ancora ipotesi di soluzione, che si abbatte sull’intero sistema planetario contemporaneamente.

Anche in questo scenario di desolante realismo, la nostra formazione di investitori nell’innovazione ci spinge a guardare comunque a un paio di segnali di cambiamento che potrebbero rivelarsi fondamentali nell’affrontare il futuro. 

Il primo è un innalzamento nella capacità di innovazione del sistema sociale e produttivo. Negli ultimi due decenni, in modo particolarmente marcato in Italia, abbiamo vissuto uno scollamento tra innovazione e settori di punta dell’economia reale. Innovatori e venture capitalist hanno predicato i benefici della digitalizzazione a intere filiere industriali, registrando in risposta resistenze perfino laddove la necessità di ripensare il modello economico era manifesto e urgente. Siamo stati interpreti precoci di metodi di lavoro destrutturati, dinamici, capaci di adattarsi con rapidità e flessibilità tanto alle distanze quanto alle evoluzioni quotidiane del mercato, scontrandoci spesso con processi decisionali che richiedevano lunghi tempi di elaborazione e continui incontri in presenza.

Da circa un mese, per contro, tutti – dagli insegnanti delle scuole elementari ai nonni in quarantena, dall’impiegato pubblico all’amministratore delegato della grande azienda – si sono ritrovati a mandare avanti tutto ciò che restava possibile, dalle relazioni personali alla gestione di azienda, tramite collegamenti online e condivisione a distanza. Perfino gli aperitivi tra amici si sono trasferiti nelle stanze di Zoom o WebEx, applicazioni finora riserva di consulenti e startupper. Di necessità virtù, certo. Né possiamo augurarci di festeggiare a lungo le ricorrenze di famiglia attraverso lo schermo di un pc. Ma la necessità ha spinto milioni di persone a colmare un ritardo pluridecennale e sempre più difficile da giustificare negli strumenti e nelle pratiche del mondo contemporaneo.

Quando potrà ripartire, dunque, il nostro Paese ripartirà più moderno e flessibile, e parlerà finalmente la lingua del mondo interconnesso. È un cambiamento culturale impensabile soltanto un mese fa. Il XX secolo è definitivamente terminato. Forse ora potremo cominciare a parlare seriamente di innovazione e farne lo scheletro di un piano di ricostruzione e di sviluppo più che mai necessario.

La seconda luce in fondo al tunnel ha a che fare con il ruolo della sanità, prepotentemente rientrato in primo piano. Di fronte alle migliaia di miliardi di euro di PIL andati in fumo e al tributo di decine di migliaia di morti evitabili in poche settimane, ci si chiede se l’innovazione dei processi in sanità, e l’investimento nella ricerca di soluzioni diagnostiche e terapeutiche non avrebbero dovuti essere spinti con maggiore convinzione. È il momento di ripensare al futuro non come evoluzione incrementale dello status quo, ma in qualche caso come capovolgimento delle priorità, mettendo in primo piano sanità e innovazione.

Sul come procedere, in Innogest qualche idea l’abbiamo sperimentata da tempo. Potremmo riassumerla, per semplicità, in una grande alleanza tra i leader di oggi e quelli di domani, fra tradizione e innovazione, tra grandi marchi dell’industria italiana e giovani startup dirompenti, in cui le corporate medie e grandi non sono più semplici acquirenti o clienti, ma creano valore per sé e per la comunità attraverso il sostegno diretto e proattivo ai secondi. Internamente, ci siamo strutturati in practice verticali per specifici filoni industriali, costruite intorno a team senior con esperienze non solo finanziarie, ma soprattutto imprenditoriali, industriali, operative.

Investire sulle grandi aziende già mature rimane un pilastro importante, e il Private Equity aiuta a renderle più efficienti e performanti. Tuttavia, nelle maglie di una grande organizzazione, l’innovazione è destinata a subire rallentamenti e a essere confinata in un dipartimento talvolta non così vicino al mercato. Per questo il corporate venture capital “tradizionale”, quello in cui l’attività di investimento in startup è svolta da quadri interni all’azienda direttamente dal bilancio aziendale, fatica a generare i risultati industriali attesi: le startup per loro natura sono innovazione che si confronta quotidianamente con il mercato: è la selezione più rapida e spietata che l’economia conosca oggi, e per contro il più efficiente e spettacolare motore di sviluppo a nostra disposizione.

Nel momento della ripartenza post-Covid ci troveremo dunque in una congiuntura molto particolare: le grandi aziende focalizzate sul proprio core business, le startup innovative bisognose di capitale per sopravvivere e prosperare, la società e le imprese molto più aperte all’innovazione digitale, i modelli comportamentali e sanitari rivoluzionati, l’innovazione e la competitività basate sempre più su tecnologie digitali. Le grandi corporate avranno sempre bisogno di innovare, ma difficilmente saranno in grado di farlo organicamente con rapidità sia per problemi di priorità che per mancanza di competenze specifiche immediatamente disponibili.

Avvicinare industria e startup, è a nostro avviso possibile con uno strumento più specifico, che metta insieme grandi corporate, operatori di venture capital e startup in una configurazione sistemica. Questo patto per mobilizzare i capitali aziendali verso l’innovazione utilizzando in modo appropriato le competenze proprie delle grandi aziende e quelle dei venture capitalist ci può consentire di trasformare la più drammatica congiuntura della nostra epoca nell’inizio di un nuovo paradigma – altrettanto straordinario – di rinnovamento del DNA delle nostre grandi aziende tradizionali e di adozione sistematica dell’innovazione tecnologica.

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