La diffusione della pandemia di Covid-19 ha inizialmente avuto un impatto severo sul private capital in generale e sul private debt in particolare. Tuttavia, passati i primi mesi di lockdown,queste asset class hanno dimostrato una notevole resilienza. Per il prossimo futuro, e nonostante la prudenza che caratterizza chi investe in strumenti di debito, si possono intravedere interessantispazi di sviluppo del private debt in Italia. Per tre motivi.
Il primo elemento da considerare è l’importo della raccolta dei fondi di private equity in Europa che nel 2020 ha raggiunto 125 miliardi euro. In considerazione del rallentamento degli investimenti causato dalle incertezze derivanti dalla pandemia, il dry powder a inizio 2021 ammontava a poco meno di 300 miliardi di euro, livello mai raggiunto in precedenza. C’è quindi da aspettarsi per il 2021 e per gli anni successivi, un’intensa attività di investimento da parte dei fondi di private equity. I trend a livello europeo non sempre si materializzano anche in Italia, ma i segnali raccolti anche dalla recente indagine dell’AIFI sul Sentiment M&A 2021 confermano la previsione di una crescita del mercato italiano del M&A e del contributo del private equity. Peraltro i multipli di valutazione in Italia sono stati, anche nel 2020, inferiori ai livelli registrati all’estero, il che rende particolarmente attraente l’investimento in Italia per operatori paneuropei.
Questo contesto, pur riguardando il private equity, ha un duplice effetto positivo sul private debt: innanzitutto al livello europeo circa l’80% delle operazioni di direct lending avvengono nel contesto di operazioni di LBO/add-ons o del loro rifinanziamento: è quindi ragionevole ipotizzare che un’attività sostenuta di private equity determini una crescita dei volumi di private debt. Inoltre, i livelli elevati dei multipli di valutazione visti nel 2020 e previsti per il prossimo futuro incentiveranno i fondi di private equity a finanziare le proprie operazioni con strutture finanziarie sempre più ottimizzate, il che favorisce il ricorso a strumenti di private debt come le tranche bullet, l’unitranche e varie tipologie di debito subordinato.
Il secondo elemento che sostiene le buone prospettive del private debt proviene dal mondo bancario. Il limitato sviluppo di forme alternative di debito in Italia in confronto con altri paesi europei è in larga misura riconducibile al fatto che le banche sono state molto attive ed efficaci nel rispondere alle esigenze finanziarie delle aziende italiane e questo fenomeno, anche grazie agli schemi di garanzia statale, è proseguito anche nel 2020. Ma in un contesto di verosimile peggioramento della qualità dei crediti la propensione ad erogare nuovi finanziamenti potrebbe contarsi, come insegna l’esperienza della crisi del 2008-2011. Inoltre è ragionevole attendersi che l’entrata a regime di criteri più stringenti per la copertura dei crediti deteriorati e la pressione della BCE nei confronti delle banche europee affinché adottino misure specifiche di valutazione del rischio delle operazioni di leveraged finance ed in particolare dei finanziamenti di operazioni di private equity, possano condurre ad una maggiore selettività nell’approccio al credito. È quindi probabile che il modello “originate/underwrite to distribute” cresca anche in Italia, creando quindi le condizioni per una maggiore e proficua collaborazione tra banche e investitori di private debt.
Il terzo e ultimo elemento deriva dalla diffusa sottocapitalizzazione delle aziende italiane. La situazione era già seria prima della pandemia di Covid-19 e non ha potuto che amplificarsi negli ultimi mesi: alcuni studi quantificano in diverse centinaia di miliardi di euro il fabbisogno di nuovi capitali da parte delle aziende italiane. Il private equity è senz’altro una risposta a questa necessità ma può essere efficacemente accompagnato dal private debt che, grazie alle sue caratteristiche, può limitarne gli effetti diluitivi. Il private debt può anche supportare direttamente le aziende nella realizzazione dei propri piani industriali fornendo finanza a lungo termine.
Ci troviamo quindi in una situazione in cui le aziende hanno un grande bisogno di sostegno finanziario, i fondi di private equity ingenti disponibilità da investire e le banche un crescente interesse a condividere il rischio di credito con operatori non bancari. Il quadro risulta quindi particolarmente favorevole per lo sviluppo in Italia del private debt nei prossimi mesi e anni.
Per cogliere questa interessante opportunità, il gruppo ANIMA, primo asset manager indipendente in Italia con più di 190 miliardi di euro di AUM, ha avviato nel 2020 una piattaforma nel settore degli alternativi illiquidi lanciando Anima Alternative 1, il suo primo fondo di direct lending con l’obbiettivo di raccogliere 150 milioni di euro. Nonostante le difficoltà derivanti dalla pandemia di covid-19 e grazie al supporto di importanti investitori istituzionali, il fondo ha già ottenuto commitment e approvazioni per circa 120 milioni di euro e ha avviato da qualche settimana la sua operatività, interamente dedicata al mercato italiano. La caratteristica principale di Anima Alternative 1 è la flessibilità: il fondo può investire in strumenti di debito senior o junior, sotto forma di finanziamento o di prestito obbligazionario, e anche in strumenti dI equity purché di minoranza. L’obbiettivo del fondo è quello di rispondere al meglio alle esigenze delle aziende fornendo nel contempo ai propri investitori professionali una soluzione bilanciata in termini di rischio e con rendimenti attraenti in confronto con altre forme di investimento.