Per soddisfare gli investitori musulmani, diverse startup fintech hanno lanciato prodotti bancari digitali conformi alla legge della Shari'ah. Sono app e servizi che funzionano seguendo regole più severe rispetto ai corrispettivi non legati a dei precetti religiosi ma dalla loro parte hanno un grande vantaggio: una platea di 1,8 miliardi di persone a livello globale, pari al 20% della popolazione mondiale, che risulta sottoservita dal mercato del risparmio gestito. La maggior parte delle banche infatti non è halal e per molti musulmani investire in linea con la propria fede può essere complesso. Secondo la legge della Shari'ah, infatti i musulmani praticanti devono seguire linee guida specifiche e per esempio non possono guadagnare con gli interessi o fare investimenti non etici. Ecco quindi che arrivano le fintech islamiche a offrire nuove opzioni vicine alle necessità dei clienti. Il nuovo ecosistema include gestori patrimoniali online come Wahed e banche digitali. Appartengono a questa categoria per esempio le startup Niyah (inglese) e Insha (tedesca). Entrambe garantiscono ai propri investitori che i loro soldi non saranno impiegati in industrie “impure” come quelle delle armi, tabacco, alcol o della carne suina. Insha ha 12mila utenti in Germania e punta ad averne un milione entro il 2023. Founders Factory ha investito invece in Qardus, una altra startup britannica, che offre anche prestiti peer-to-peer religiosamente ammessi. Sul fronte dei fondi, il venture capital di Londra Hambro Perks sta cercando di investire molto nell'economia islamica in Medio Oriente e Nord Africa e per esempio ha puntato sull'app di incontri per credenti musulmani Muzmatch. Frost Capital, una società americana di private equity, invece ha effettuato una serie di investimenti conformi alla Shari'ah e a settembre ha acquisito per otto milioni di dollari Affins lab, una società focalizzata sull'economia islamica e sull'innovazione sociale.