Settimana scorsa è stato ufficialmente inaugurato Gfanz: in parole povere si potrebbe definire la soluzione del mondo della finanza al problema climatico.
La dichiarazione
Gfanz (Glasgow Financial Alliance for Net Zero) è coordinata da Mark Carney, UN Special Envoy on Climate Action and Finance. Questa entità unisce oltre 160 realtà finanziarie (che in totale sono responsabili per asset gestiti oltre i 70 trillioni di dollari). Lo scopo di questa aggregazione è di guidare le iniziative “net zero” all’interno di tutta la comunità finanziaria per accellerare la transizione alle emissioni “net zero” entro il 2050, se non prima. Su Youtube è disponibile l’intera cerimonia di lancio (in modalità casalinga Covid style con background e bandiera ONU) dove il signor Carney discute con vari delegati, politici, burocrati della famiglia ONU tutti gli sforzi che questa nuova entità privata dovrà affrontare.
Il documento ufficiale
Il documento ufficiale del Cop26 e il Gfanz è disponibile in rete ed accessibile qui.
Nello specifico vi sono 5 punti operativi che il progetto si ripromette di attuare.
- ampliare la campagna di “race to Zero” per assicurare che tutti i settori finanziari abbiano un impegno verso la net zero credibile.
- Aumentare l’impegno dei partecipanti al progetto con target robusti e piani di transizione.
- Coordinare gli impegni presi e le azioni in tutta l’industria finanziaria. Gfanz unirà tutte le esistenti alleanze “net Zero” e i partner di Race to Zero in una struttura coerente e olistica (dal greco ?λος hòlos, globale, tutto). A cui si aggiungeranno attori che forniscono strumenti analitici come le agenzie di rating (quelle che facevano i rating alle banche durante la bolla immobiliare…) , auditor, borse finanziarie per implementare le loro strategie net zero.
- Supportare collaborazioni per arrivare alla net zero.
- Mostrare i risultati positivi raggiunti da entità finanziarie per acquisire la net zero.
Qualche modesta critica.
Si deve ammettere che sia tutto molto bello. Tuttavia vi sono alcune realtà che hanno dedicato all’ambiente la loro primaria ragion d’essere (e di guadagno) che tendono ad essere un poco critiche nel confronti di questa super alleanza di virtuosi. Ad oggi, come riporta il Guardian, l’impegno delle banche (tra cui alcune di quelle che sono nel Gfanz) nei confronti dei carburanti fossili è un poco elevato. Il vincitore, nel 2020, per i finanziamenti a progetti petroliferi è Jpm con oltre 300 miliardi. Seguono Citi, Wells Fargo, BOA, RBC etc..
Sierraclub (che fa i soldi sul tema ambiente) ha aspramente criticato questo progetto. C’è da ricordare tuttavia che lo stesso Sierraclub venne aspramente criticato quando, qualche anno fa, ricevette una donazione da aziende legate alle industrie di energia fossile.
Il signor Carney, di per sè, pur avendo una grande visione, tende ad avere qualche criticità di immagine. Di recente il gruppo Brookfield Asset Management, che lo stesso Carney aveva dichiarato essere “net zero across its $575bn asset portfolio” ha dimostrato alcune imperfezioni. Un investigazione di Greenpeace ha portato alla luce che il gruppo ha importanti posizioni nelle industrie del carbone, sabbie bituminose (la cui estrazione è altamente energivora e richiede grandi quantità di acqua) e gas.
Fare cose verdi porta soldi.
Per quanto le critiche siano doverose c’è anche da considerare il profitto. Allo stato attuale, con gli investimenti degli stati (i cui governi occidentali sono stati democraticamente eletti, per lo più) nelle politiche verdi sono un’ ottima opportunità per avere validi rendimenti. L’imperial College Business School ha stimato che i Roi sugli investimenti verdi dal 2010 hanno toccato i 367% di ritorni di investimenti rispetto a investimenti in fossili. Come dire essere a favore del verde è politicamente corretto ma soprattutto paga bene. È opportuno, tuttavia, che questi investimenti siano coerenti… diversamente si rischia il boomerang del greenwashing e la gogna mediatica se il fondo fosse distratto.
@enricoverga