Negli ultimi mesi il termine ESG è emerso violentemente: ovunque, nel mondo occidentale, si registrano aziende, fondi, progetti ESG compliance al 100%. Esiste un lieve rischio, che ha tracciato persino il WSJ: molta “roba ESG” rischia di essere marcia o, come lo scrivono più diplomaticamente al WSJ, greenwashed.
Per capire il serio pericolo verso cui è diretta la finanza d’investimenti è bene comprendere a pieno il tema greenwashing e le sue ricadute.
Pubbliche relazioni e media
Il concetto e i principi di ESG sono un aspetto vitale per le aziende. Per l’intera filiera di una grande azienda (che ha molti fornitori, specie se parliamo di un’azienda che produce beni fisici) e per i fondi o le entità finanziarie che partecipano l’azienda ESG compliance. Tuttavia maggiore è l’esposizione di un azienda al mondo retail (b2c) maggiore è il rischio/opportunità che tale azienda possa valorizzare (o subire) gli ESG.
Consideriamo le aziende che producono abbigliamento di consumo (in gergo Fast Fashion, prodotto e importato per lo più dall’Asia) come Boohoo e ASOS: oggetto di interesse per gli investitori retail e istituzionali del settore. Le loro produzioni di fast-fashion sono quasi totalmente in tessuti sintetici (con materie prime fossili); tutto fuorchè ESG compliance.
Rebranding o greenwashing
Come riporta il già menzionato articolo del Wsj molti fondi stanno cambiando… il nome. L’American Century Fundamental Equity Fund ora si chiama Sustainable Equity Fund (nome molto verdoso), lo USAA World Growth Fund ora è il USAA Sustainable World Fund e il Putnam Multi-Cap Growth Fund ora si chiama Putnam Sustainable Leaders Fund. Diciamo che con un “sustainable” si cucina tranquillamente la roba verde. Una trasformazione verde lodevole, rapida, forse un po’ troppo. Questi fondi, insieme a molti altri, avevano una emorragia di investitori. Negli ultimi anni hanno fatto i compiti a casa e si son messi a valorizzare la “fame” di roba verde degli investitori istituzionali e retail. I fondi “brutti e inquinatori” han sviluppato “un’elaborata” strategia (mediatica?): scaricate le loro partecipazioni in aziende inquinanti e si son comprate aziende belle verdi. Un esempio di operazione verdosa.. si scarica le azioni di Exxon Mobil Corp e si comprano le azioni di Tesla Inc.
Ma Tesla è verde? Lo è più di Exxon, ci vuole poco, ma la sua attività è veramente ESG compliance? Al netto delle operazioni di comunicazioni digitale del proprietario, ai limiti della legalità (di solito gioca con le criptovalute ma la Sec lo ha messo sotto indagine, e lui ha fatto pace pagando) le scelte ambientali di Musk/Tesla sono curiose. Le criptovalute, che gli han dato grande slancio nel bilancio (forse la voce positiva più rilevante), sono per lo più bitcoin che hanno un blockchain POW (in pratica che va a carbone). Il report di Arabesque su Tesla, di un paio di anni fa, dice molto sulla (non) trasparenza del gruppo, quando si tratta di spiegare come e quanto impatta sull’ambiente. L’azienda di navette di Musk (non parte di Tesla ma Musk non si fa problemi a mischiare sempre, nelle sue Pr l’una e l’altra) ha in programma di cacciar di casa gli abitanti di una piccola cittadina (i quali sono piuttosto infelici, chissà perché). A questi aspetti si aggiunga il non poco curioso rapporto che Tesla ha con le sue azioni… ogni volta che succede un incidente di dimensioni considerevoli (la Cina, per esempio, che ha smesso di supportare Musk) le azioni della azienda hanno un inflessione di scarso rilievo. Talvolta si ha la percezione che le azioni di Tesla non siano collegate ai suoi fondamentali (molti suggeriscono che Tesla sia una bolla). Quanto Tesla sia veramente ESG compliance sarebbe da comprendere con attenzione, prima di inserirla in un fondo che vanta di essere “sostenibile”.
Se l’esempio di cui sopra suona troppo complesso usiamone uno più “leggero”. Nell’ultimo report annuale la DWS Group (fine agosto 2021) dichiarava che “i dati ESG sono la pietra angolare (insomma una cosa molto importante) delle nostre analisi ESG”. Ovviamente una dichiarazione molto bella, oserei dire ESG compliance. Il gruppo gestisce oltre 800 miliardi di investimenti, insomma una sua decisione in fatto di investimenti in un industria o un'altra, può fare la differenza. Al Wsj (un giornale birichino, ultimamente in fissa con lo stanare la “roba ESG” un po’ peculiare) han appena riportato che in DWS le cose non stanno proprio così.
A quanto pare, stante le parole del Wsj, che sul caso ci sta su dai primi di agosto, in DWS l’ESG, e le regole e gli standard che esso implica, non erano materia di interesse per i decisori quando dovevano investire. Tuttavia alla DWS affermavano che l’ESG era “la pietra angolare delle loro strategie…”. Il resto lo lascio approfondire a voi sulle pagine del Wsj (disclaimer non vendo abbonamenti della suddetta rivista, mi limito a leggerla e citarla se utile).
Questi due brevi esempi sono solo la punta dell’iceberg di quello che si cela sotto il pelo dell’acqua, nel mondo ESG: molte delle aziende definite ESG (o che si autoproclamano ESG compliance) sono in realtà… peculiari. Un campanello d’allarme per tutti quei fondi che, giustamente, considerano l’ESG un’ottima soluzione per avere investitori felici e cittadini/e entusiasti (specie quelle con le trecce bionde, occhi azzurri e accento nord vichingo).
Le Bigtech sono ESG?
Una grande scommessa che molti fondi hanno intrapreso sono le Bigtech. È indubbio che, specie durante il Covid, questi monopoli (nel miglior dei casi oligopoli) siano schizzati in orbita. A volte per meriti effettivi (come le trimestrali di FB, Amazon, AWS etc..) a volte per l’abilità di usare twitter del fondatore (Tesla/spaceX). Ad ogni modo sono galline dalle uova d’oro: sono percepite come non inquinanti (un vecchio mito delle Pr di Silicon valley prima maniera), sono immuni alle pandemie, il digitale è in diffusione. Sono ESG? Nemmeno per sogno. L’impatto energetico per i loro Cloud è imponente, e le posizioni delle stesse aziende, come spiega il Guardian, sono più parole (verdi) che fatti. In più la produzione di Chip della “prima Silicon Valley” nel 1980 ha lasciato l’area oltremodo inquinata.
ESG is the new black
Per quanto si può suggerire che il concetto di ESG sia molti ben definito, le capacità di misurazione delle singole lettere che compongono il suo acronimo è sfidante. Come gli esempi di Tesla o la fast-fashion hanno indicato, misurare altri concetti, parte degli standard ESG è complesso. Consideriamo i diritti umani: non si parla dei diritti umani inalienabili (tipo divieto di tortura, un tribunale equo etc..) ma tutta l’area dei diritti del lavoro. Lo stesso dicasi per la supply chain di materie prime da aree di conflitto. Tornando al signor Musk e la sua Tesla (con batteria al litio) siamo veramente sicuri che il litio Afghano (nazione al momento sotto la lente di ingrandimento dei neutrali media occidentali) non troverà il modo per entrare nelle batterie delle auto verdi delle Tesla (o di altri brand)? E non fermiamoci qui. Quante aziende e multinazionali hanno attivato piani di elusione fiscale (legale ma eticamente non ESG compliance) in paesi del terzo mondo o paradisi fiscali dove la legge è un’opinione (come il Jersey o Malta?). Gli esempi potrebbero continuare ma fermiamoci qui.
Pur con tutta la buona volontà dei fondi, rimane vitale una abilità di deep due diligence che, spesso purtroppo, molti fondi, con personale fortemente cresciuto in un ambiente conservativo e convergente, non hanno. Un approccio divergente, nelle analisi su candidati ESG, potrebbe essere una soluzione. Pena il pubblico ludibrio a mezzo media e la fuga degli investitori (oltre alle multe da parte degli enti di controllo statali).
@enricoverga