Si è tenuto ieri presso
l'Università Bocconi un convegno organizzato dalla stessa Università e da
Equita Sim sullo sviluppo del mercato dei capitali in Italia. Temi centrali
sono stati investimenti e internazionalizzazione necessari se si vuole far
crescere il sistema imprenditoriale italiano. Guardando i numeri e ascoltando
gli interventi dei protagonisti della finanza e dell'economia italiana, il
Paese è ancora indietro. Anna Gervasoni, direttore generale Aifi, lamenta per
esempio la scarsa presenza di investitori italiani nei fondi di private
equity: «Il 70% dei volumi impiegati da fondi di private equity in
Italia arriva da investitori esteri». Oltre agli investitori, sono carenti
anche le banche d'investimento: «Negli ultimi 10 anni sono scomparse quasi
tutte le istituzioni che tradizionalmente assistevano gli imprenditori sui
progetti di lungo termine, come Centrobanca, Interbanca, Meliorbanca e molte
altre», osserva Andrea Vismara di Equita Sim. Per di più sulle «Sim c'è un
masochismo regolamentare», rincara la dose Francesco Perilli di Equita Sim.
Infine, l'Italia è afflitta da nanismo: «I fondi sovrani internazionali
guardano all'Italia con grande interesse» osserva Guido Rivolta, amministratore
delegato di Cdp Equity. Ma sono troppo grandi per il nostro mercato. Di
lavoro da fare, ce n'è. Tuttavia, le aziende italiane hanno garantito
rendimenti più elevati rispetto ad altri paesi europei, per effetto della crisi
del debito sovrano e di un più elevato rischio paese, nonostante la solidità
dei fondamentali delle imprese. Insomma, chi ha puntato a società di qualità
oggi ne raccoglie i frutti.