Sagitta (gruppo Arrow) raccoglie capitali per npl e distressed
Ok alla commercializzazione di un nuovo veicolo feeder che foraggerà un fondo master
Union Jack ammainata di fronte al Parlamento europeo. Cala il sipario sugli oltre 45 anni di presenza di Londra nell’Unione europea. Da venerdì 31 gennaio 2020 infatti il Regno Unito non è più uno Stato membro dell’Ue ed entra in una fase di transizione che durerà fino al 31 dicembre. Il Withdrawal Agreement tra le due parti è divenuto operativo dal 1° febbraio 2020 e ora è c'è da definire i termini delle relazioni future tra rapporti commerciali e cooperazione d’ogni tipo. Il tempo a disposizione non è molto però, se consideriamo che ci vollero sette anni di trattative per il patto di libero commercio fra Ue e Canada. Oggi, lunedì 3 febbraio, la Commissione presenterà la sua proposta per un mandato negoziale e le trattative potranno partire solo da marzo. Boris Johnson ha dichiarato più volte che non chiederà una proroga del periodo transitorio e in qualsiasi caso la decisione sull’eventuale estensione (di uno o due anni) andrà presa entro la fine di giugno. Nel dettaglio, i primi sei mesi del 2020 vedranno una prima fase embrionale di trattative, poi con in estate l’Ue dovrà scegliere su quali settori concentrarsi e a quali dossier dare la priorità. A Scunthorpe, a nord della capitale, il 23 giugno 2016, giorno del referendum, due terzi degli aventi diritto votarono per la Brexit. La città, che potremmo considerare la Taranto d'Inghilterra, ospita la British Steel, l'acciaieria proprietà del fondo di private equity Greybull Capital che negli anni Settanta dava lavoro a 30mila operai e oggi è in crisi. La compagnia siderurgica britannica è la più grande del Paese ed è fallita lo scorso maggio dopo che il governo ha rifiutato al fondo un prestito di emergenza di 30 milioni di sterline. Una mano tesa è arrivata però dal gruppo cinese Jingye che ha siglato un accordo da almeno 50 milioni di sterline. Sul destino dell'impianto non ha pesato solo la concorrenza dell'acciaio cinese più a buon mercato ma anche l'incertezza creata dal governo inglese in tre anni di trattative post-referendum che ha portato alla perdita di molti clienti. Il marchio tuttavia nel settore dell'acciaio resta ambito. Come ricorda Avvenire, dalla British Steel esce ancora il materiale pregiato di cui sono fatti i binari delle ferrovie di mezza Europa, compresa l'alta velocità italiana, che i cinesi non sanno produrre e che quindi hanno scelto di controllare tramite acquisizione. Negli anni di massimo splendore la British Steel dava lavoro a 30mila operai. Oggi sono impiegate 4mila persone ma se l'accordo con Jingye dovesse andare in porto - l'intesa dovrebbe essere siglata a febbraio – ci dovranno essere almeno 500 fuoriuscite volontarie. Le acciaierie cinesi di Jingye, gruppo della provincia dello Hebei, producono già 15 milioni di tonnellate di acciaio all’anno e ora voglio espandersi a livello internazionale. Il piano per la British Steel prevede investimenti per 1,2 miliardi in 10 anni per fare ammodernamenti al sito, soprattutto in ottica ambientale.